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Il 17 settembre decine di persone sono morte e oltre tremila sono rimaste ferite in varie esplosioni avvenute tra Libano e Siria. È l’ennesima tragica notizia che viene dal Medio Oriente scosso dalla guerra tra Israele e Hamas e consumata dal timore di un allargamento del conflitto che coinvolga Iran e Stati Uniti. Stavolta non si tratta però dei classici e terribili raid aerei o di bombardamenti: a esplodere sono state delle ricetrasmittenti cercapersone.
Tutt’altro che un incidente, secondo un funzionario di Hezbollah che ha puntato il dito contro Israele. Per i miliziani filo-iraniani si è trattato di un attacco hacker, lanciato simultaneamente su decine di dispositivi. Ma è davvero così? Ecco cosa sappiamo.
Cos’è successo alle ricetrasmittenti cercapersone di Hezbollah
Tra le vittime e i feriti (di cui oltre 200 gravi) figurano anche bambini, compresa una ragazzina di otto anni. Sono rimasti uccisi diversi combattenti e figli di alti funzionari di Hezbollah.
Le ricetrasmittenti sono esplose nella periferia sud di Beirut nota come Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah, oltre che nella Valle della Beqa. In uno dei vari video pubblicati sui social, si vede uno dei dispositivi scoppiare vicino alla cassa di un negozio proprio mentre un cliente stava pagando. Tra i coinvolti c’è anche l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani, rimasto lievemente ferito. Altri filmati mostrano decine di persone giunte in ospedale con arti e teste insanguinati, mentre urlavano dal dolore.
Stando al Wall Street Journal, i cercapersone bomba erano parte di una nuova fornitura che i fondamentalisti libanesi avevano ricevuto da poco e distribuito a centinaia di miliziani. Si tratta di dispositivi che i membri dell’organizzazione sciita utilizzano normalmente per comunicare e inviare messaggi tra loro.
Cosa sono i cercapersone
I cosiddetti cercapersone sono dispositivi elettronici antecedenti ai telefoni cellulari, ormai usati raramente nella maggior parte dei Paesi occidentali. Il boom del loro impiego si è registrato negli Anni Ottanta e Novanta.
Si tratta di apparecchi per la comunicazione unidirezionale, che consente agli utenti di inviare un breve messaggio tramite segnale radio. Spesso, in passato, il contenuto del messaggio era un numero di telefono al quale richiamare.
I segreti dei dispositivi usati da Hezbollah: sono hackerabili?
Secondo Hezbollah, a provocare le esplosioni sarebbe stato un malware progettato per indurre i cercapersone a surriscaldarsi oltre il limite massimo. Altri analisti ipotizzano che la causa sia legata a cariche di esplosivo inserite nelle ricetrasmittenti prima che venissero distribuiti e fatte detonare a distanza. Possibile che l’esercito più potente tra i satelliti iraniani usi dispositivi così poco tecnologici?
Il perché è presto detto: in questo modo i fondamentalisti libanesi possono sfuggire al tracciamento dell’intelligence israeliana. I cercapersone esplosi erano in grado di ricevere e inviare semplici messaggi di testo, il più delle volte scritti in codice. Ma non criptati, il che li rende facilmente decifrabili da chi li intercetta. Nonostante l’apparenza, il sistema utilizzato da queste ricetrasmittenti è piuttosto sofisticato e contempla anche protocolli d’emergenza. Si tratta dunque di un sistema che può essere effettivamente hackerato prendendo di mira i segnali radio. Ciò è possibile tramite apparecchiature e software come Sdr in grado di intercettare simultaneamente grandi volumi di informazioni veicolate dai cercapersone. Colpendo potenzialmente migliaia di utenti in ospedali, industrie o settori governativi che fanno ancora affidamento su tali sistemi di comunicazione.
Hezbollah, dal canto suo, ha utilizzato i propri droni per studiare e attaccare le capacità di raccolta di informazioni da parte di Israele in quella che il leader del gruppo, Sayyed Hassan Nasrallah, ha descritto come una strategia per “accecare” l’intelligence nemica. Queste tattiche sono diventate cruciali per affrontare un avversario formidabile come lo Stato ebraico, che utilizza telecamere di sicurezza hi-tech e sistemi di telerilevamento per identificare e abbattere i suoi obiettivi in territorio altrui. Anche le intercettazioni elettroniche israeliane, tra cui l’hackeraggio di telefoni cellulari e computer, sono considerate tra le più sofisticate al mondo.
Le immagini circolate in Rete non consentono una disamina approfondita dei dispositivi esplosi. I frammenti non mostrano infatti con chiarezza le etichette col numero del modello e la frequenza operativa. Si può tuttavia notare la scritta “Gold” e una dicitura “AR-9” o “AP-9”. Un’altra traccia sembra una porta Usb. Tutti questi indizi sembrano indicare un modello chiamato Rugged Pager AR-924, realizzato dalla Gold Apollo Company Ltd. con sede a Taiwan e alimentato a batterie AAA. Secondo gli esperti, non sarebbe però stato un cortocircuito indotto alle “ministilo” alcaline la causa delle esplosioni.
La responsabilità è di Israele?
Il ministro libanese Ziad Makary ha parlato di “aggressione da parte di Israele”, mentre i vertici di Hezbollah hanno avvertito che lo Stato ebraico “riceverà una giusta punizione” per quello che è stato definito “la peggiore breccia nella sicurezza” subita dal gruppo dal 7 ottobre 2023. Hussein Khalil, alto funzionario del gruppo libanese, ha detto che si tratta di “un attacco contro l’intera nazione”. Anche Hamas ha commentato il presunto attacco, affermando che il “grande nemico” ha così innescato una escalation che lo condurrà “al fallimento e alla disfatta”. Da parte sua, Tel Aviv non ha rivendicato alcuna responsabilità. Anzi, il premier Benjamin Netanyahu ha preso le distanze dall’unico funzionario che ha lasciato intendere sui social che ci sarebbe Israele dietro il vasto attacco coordinato.
Alla fine della fiera, come si suol dire, sembra davvero che i geolocalizzatori dei miliziani di Hezbollah siano stati oggetto di un sofisticato attacco cibernetico da parte degli israeliani. A corroborare questa ipotesi c’è un altro indizio: la dichiarazione rilasciata poco prima dell’episodio dal ministro della Difesa, Yoav Gallant, all’inviato speciale statunitense Amos Hochstein (lo stesso che anni fa fu spedito in Germania per opporsi al raddoppio del gasdotto Nord Stream), secondo cui la sicurezza al confine nord col Libano potrà essere ripristinata “soltanto con un’operazione militare”. Pochi giorni l’agenzia di intelligence israeliana Shin Bet aveva inoltre riferito di aver sventato un attentato di Hezbollah contro un alto funzionario della Difesa ebraica, sequestrando un ordigno collegato a un sistema di detonazione a distanza. In questo caso si trattava di un cellulare e di una macchina fotografica che i libanesi avevano pianificato di attivare da remoto.
Anche nel caso in cui Israele non abbia materialmente innescato le esplosioni simultanee ai danni degli islamisti libanesi, l’episodio mette ulteriormente a rischio la già improbabile tregua a Gaza. Allontanando ancora di più la già morta soluzione dei due Stati. Al momento Hezbollah, come l’Iran suo sponsor, vuole evitare un conflitto totale con lo Stato ebraico proseguendo lo scontro a bassa intensità transfrontaliero finché la fine della guerra di Gaza non terminerà. Gli sforzi per il cessate il fuoco a Gaza restano tuttavia bloccati dopo mesi di colloqui mediati da Qatar, Egitto e Stati Uniti.
Cosa può essere successo: le ipotesi
“Guardando i video sembra che l’esplosione sia stata molto più forte di qualsiasi cosa potrebbe essere prodotta da un normale chip informatico“, ha osservato un ex membro delle Idf israeliane, aggiungendo che sulle ricetrasmittenti libanesi potrebbe anche essere stato installato un software in grado di esplodere tramite un input da remoto, come la ricezione di un messaggio per l’appunto.
Paul Christensen, esperto in sicurezza delle batterie agli ioni di litio presso l’Università di Newcastle, ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che il livello di danni causati dalla deflagrazione dei cercapersone sembrava incoerente con i casi noti di guasti relativi alle batterie. “Stiamo parlando di una batteria relativamente piccola che prende fuoco, non certo di un’esplosione mortale. Avrei bisogno di saperne di più sulla densità energetica delle batterie, ma il mio intuito mi dice che è altamente improbabile”, ha osservato.
I precedenti della guerra cibernetica di Israele
L’eventuale manomissione delle ricetrasmittenti libanesi non sarebbe una mossa così fuori dalle corde israeliane. Le agenzie di spionaggio sioniste vantano infatti una lunga storia di legami con omicidi e attività segrete compiuti tramite bombe e dispositivi ad alta tecnologia. Ecco un breve elenco di episodi esemplari:
- 1972, Bassam Abu Sharif – Portavoce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP), rimase ferito sempre a Beirut dopo aver aperto un pacco contenente un libro collegato a un ordigno. Il funzionario palestinese sopravvisse ma perse diverse dita, rimase sordo da un orecchio e cieco da un occhio.
- 1972, Mahmud Hamshari – Un rappresentante dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) rimase ucciso a Parigi nello stesso anno per una bomba fu piazzata sotto un telefono e fatta esplodere a distanza.
- 1996, Yahya Ayyash – Anche in questo caso la morte fu causata dalla deflagrazione di un telefono attivata da remoto. Ayyash era soprannominato “l’Ingegnere” e contribuì a sviluppare bombe suicide adoperate nel conflitto israelo-palestinese.
- 2000, Samih Malabi – Un attivista di Fatah del campo profughi di Kalandia, fuori Ramallah, rimase ucciso quando un telefono cellulare scoppiò vicino alla sua testa.
- 2007, Stuxnet – In questo caso parliamo di un potente virus informatico, progettato dall’intelligence statunitense e israeliana, che si ritiene abbia disabilitato una parte fondamentale del programma nucleare iraniano. Stuxnet fu sviluppato per distruggere i sistemi utilizzati da Teheran per arricchire l’uranio. Il “contagio” avvenne tramite una chiavetta Usb, consegnata da una spia iraniana che lavorava per lo Stato ebraico.
- 2020, Mohsen Fakhrizadeh – Lo scienziato nucleare iraniano fu assassinato quattro anni fa in Iran da una mitragliatrice telecomandata montata su un’auto.
La rivalità fra Israele e Hezbollah, spiegata
Le ricetrasmittenti esplose sono solo l’ultima voce del conto pagato da Hezbollah, che ha perso più di 400 combattenti negli attacchi condotti da Israele, compreso il comandante Fuad Shukr a luglio. La rivalità con Israele ha però radici ben più profonde.
Al di là del fare gli interessi militari dell’Iran, Hezbollah ha una sua agenda e i suoi personali motivi per opporsi a Israele. Quest’ultimo e il Libano sono in stato di guerra da decenni, da quando lo Stato ebraico lanciò una devastante invasione nel 1982, inviando carri armati fino alla capitale Beirut, dopo essere stato attaccato a sua volta dai militanti palestinesi nel Paese. Israele ha poi occupato il Libano meridionale per 22 anni, finché non è stato cacciato proprio da Hezbollah nel 2000. Per questo motivo, in Libano il “Partito di Dio” è ufficialmente considerato un gruppo di “resistenza” incaricato di affrontare Israele, che Beirut classifica come uno Stato nemico. Ovviamente, dall’altro lato, gran parte del mondo occidentale ha designato Hezbollah come un’organizzazione terroristica.
Da allora le due parti si sono scontrate sporadicamente, fino alla grande escalation del 2006, quando Israele è intervenuto in forze nel sud del Libano dopo che Hezbollah aveva rapito due soldati israeliani. In quel conflitto furono uccisi più di mille libanesi, perlopiù civili, così come 49 civili israeliani e 121 soldati. Due anni dopo, Hezbollah restituì i resti dei militari rapiti in cambio del rilascio dei prigionieri libanesi e palestinesi nelle carceri israeliane, nonché dei corpi dei militanti detenuti da Israele. Un copione già visto, sì. Le ostilità tra Israele e Hezbollah sono cresciute nuovamente dopo il fatidico 7 ottobre. Ciò ha spinto Tel Aviv a entrare in guerra contro Hamas a Gaza con la ferocia che ben conosciamo, radendo al suolo gran parte degli insediamenti nella Striscia e uccidendo oltre 36mila civili palestinesi. Hezbollah ha quindi potuto aggiungere come giustificazione della sua “guerra giusta” anche la causa palestinese.
La capacità militare del gruppo libanese è cresciuta dal 2006, quando faceva affidamento in gran parte sugli imprecisi razzi Katyusha di produzione sovietica. Oggi il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, sostiene che il suo gruppo vanta più di 100mila fra combattenti e riservisti. Si ritiene inoltre che l’arsenale includa oltre 150mila razzi, che potrebbero sopraffare le difese di Israele nel caso scoppiasse una guerra totale.
Si va verso l’escalation del conflitto in Libano?
Hezbollah fa parte del cosiddetto “Asse della Resistenza” (o, secondo la vulgata occidentale, “Mezzaluna sciita”) sostenuto dall’Iran nella regione, che include gruppi armati in Iraq, Siria e Yemen. Questi gruppi e potenzialmente la stessa Teheran entrerebbero in gioco in caso di una guerra su larga scala in Libano, che potrebbe arrivare a chiamare in causa anche il più forte alleato di Israele, gli Stati Uniti. Scenario estremo e di scarsa probabilità, almeno al momento. L’escalation del conflitto non giova a nessuno e nessuno sembra volerla davvero, al di là dei proclami bellicosi. Ma negli scontri armati, lo abbiamo imparato, la componente irrazionale gioca un ruolo decisivo e imprevedibile.
Gli Stati Uniti, da parte loro, non ritengono che una “piccola guerra regionale” sia un’opzione realistica, perché sarà difficile impedire che si allarghi e si espanda. Tuttavia per la Casa Bianca sarà impossibile riportare la distensione al confine israelo-libanese senza prima aver concluso un cessate il fuoco a Gaza. Nonostante i proclami e le minacce odierne, Israele non avrebbe reale intenzione di invadere la parte di Libano controllata da Hezbollah. E, dall’altro lato della barricata, anche i fondamentalisti sciiti hanno tutto l’interesse a non accelerare l’inasprimento della contesa militare col nemico confinante. In altre parole a Iran e Hezbollah conviene che il conflitto resti a bassa intensità e tenga impegnato Israele a lungo, mentre dall’altra parte c’è più urgenza di inasprire i combattimenti, ma manche l’opportunità e la forza necessarie.
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